Le infezioni delle vie urinarie sono condizioni estremamente frequenti. Circa metà delle donne riferisce almeno un episodio entro i 32 anni di età e molte soffrono di frequenti recidive, sottoponendosi a ripetuti cicli di terapie antibiotiche. Un recente studio pubblicato sul New England Journal of Medicine, una delle più prestigiose riviste scientifiche in ambito medico, ha valutato l’accuratezza dell’urinocoltura eseguita sul mitto intermedio. Sono infatti i risultati di questo esame a orientare la maggior parte delle terapie per le infezioni delle vie urinarie.
Sebbene le complicanze siano rare, la cistite acuta è estremamente fastidiosa e influisce negativamente sulla qualità di vita. La maggior parte delle infezioni delle vie urinarie è causata da batteri che colonizzano la vescica e ne causano l’infiammazione. La diagnosi si basa spesso sull’esame colturale delle urine del mitto intermedio (il campione viene prelevato solo in seguito alla fuoriuscita della prima quota di urine emesse, che non devono essere raccolte nel contenitore sterile). In realtà questa metodica, sebbene comoda e non invasiva, non sempre è accurata nel riflettere la reale presenza dei batteri nella vescica. L’interpretazione dei risultati è complicata dal fatto che i microrganismi presenti nei tessuti periuretrali possono contaminare il campione. Quindi può essere difficile distinguere se i batteri originano dalla vescica o dai tessuti periuretrali (es. vestibolo, vulva, piccole labbra).
I ricercatori delle università di Miami e Washington, coordinati dal Prof. Hooton, hanno confrontato campioni di urina prelevati con la tecnica del mitto intermedio con campioni di urina prelevati direttamente in vescica utilizzando un catetere, appartenenti a 202 donne che si erano presentate con sintomi da cistite acuta. L’obiettivo era quello di confrontare le specie batteriche e il numero di CFU (unità formanti colonie, cioè le colonie batteriche) risultanti dal prelievo del mitto intermedio con quelle derivanti da catetere, usate come riferimento.
Lo studio ha dimostrato che la presenza di E. Coli (batterio gram negativo) nelle urine del mitto intermedio, anche con un basso numero di CFU, è altamente predittiva della presenza del batterio nella vescica. Al contrario, la presenza di enterococchi e streptococchi del gruppo B (batteri gram positivi) nelle urine del mitto intermedio non è predittiva della presenza di questi batteri in vescica, anche ad alte concentrazioni di CFU.
Questi risultati rafforzano le opinioni di chi considera poco utile l’esame colturale sulle urine del mitto intermedio per la diagnosi delle cistiti. Se, nonostante tutto, si preferisce eseguire l’analisi in pazienti sintomatiche è necessario che il laboratorio fornisca un’accurata conta delle CFU, anche in presenza di basse concentrazioni (es. 100 CFU/ml), perché queste non devono essere ignorate. Poiché molti laboratori riportano la presenza di batteri solo ad alte concentrazioni di CFU (>1000 CFU/ml), urinocolture che individuano E. Coli con basse conte possono risultare falsamente negative. Al contrario, le colture talvolta sono positive per enterococchi e streptococchi del gruppo B con conte superiori a 1000 CFU/ml, ma questi batteri sono raramente causa di cistite nelle giovani donne. Una errata interpretazione dei risultati colturali può quindi risultare in un ridotto trattamento dei casi di E.Coli a bassa concentrazione e un trattamento inappropriato dei casi con enterococchi e streptococchi del gruppo B.
Hooton T.M., et al.Voided midstream urine culture and acute cystitis in premenopausal women. N Engl J Med 2013; 369:1883-1891.